Sentenza n. 258 del 2021

SENTENZA N. 258

ANNO 2021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO;

Giudici : Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 8, della legge 3 agosto 2007, n. 124 (Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto), promossi dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, con quattro ordinanze del 3 febbraio 2021, iscritte, rispettivamente, ai numeri 133, 134, 135 e 136 del registro ordinanze 2021 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visti gli atti di costituzione di A. M. D. M. e altri, di R. N. e G. R., di P. D. e altri, di G. L. e altri, di G. B. e altri, di A. L.B. e L. R. e di A. A. e altri, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 1° dicembre 2021 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;

uditi gli avvocati Massimiliano Fazi per A. M. D. M. e altri, Antonio Mancini per G. B. e altri e gli avvocati dello Stato Gianni De Bellis e Fabrizio Fedeli per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 1° dicembre 2021.

Ritenuto in fatto

1.– Con quattro ordinanze di identico contenuto del 3 febbraio 2021, emesse in altrettanti giudizi, rispettivamente iscritte ai numeri 133, 134, 135 e 136 del registro ordinanze 2021, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 8, della legge 3 agosto 2007, n. 124 (Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto), in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, 103, secondo comma, e 111 della Costituzione.

La disposizione censurata – attinente alla disciplina delle classifiche di segretezza, attribuite per circoscrivere la conoscenza di informazioni, documenti, atti e attività al fine di proteggere la sicurezza dello Stato – prevede che «[q]ualora l’autorità giudiziaria ordini l’esibizione di documenti classificati per i quali non sia opposto il segreto di Stato, gli atti sono consegnati all’autorità giudiziaria richiedente, che ne cura la conservazione con modalità che ne tutelino la riservatezza, garantendo il diritto delle parti nel procedimento a prenderne visione senza estrarne copia».

2.– Il rimettente premette di essere stato investito, quale giudice delle pensioni pubbliche, dai ricorsi collettivi di diversi ex dipendenti del comparto degli Organismi di informazioni per la Sicurezza (OO.I.S.), i quali domandavano che venisse accertato e dichiarato, nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri, il loro diritto alla riliquidazione del trattamento di quiescenza, previo computo, nella base pensionabile, delle indennità di cui all’art. 18 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 novembre 1980, n. 8, loro corrisposte nel corso del rapporto di impiego e denominate «di funzione» o «operativa» a seconda che si trattasse di personale munito o meno di qualifica dirigenziale.

2.1.– Nel corso dell’istruttoria, proseguono le ordinanze di rimessione, ritenendo indispensabile l’acquisizione della documentazione amministrativa e contabile concernente l’ammontare delle indennità corrisposte, il giudice ordinava all’amministrazione di «rilasciare ai difensori dei ricorrenti» una copia del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 aprile 2008, n. 1 (Criteri per l’individuazione delle notizie, delle informazioni, dei documenti, degli atti, delle attività, delle cose e dei luoghi suscettibili di essere oggetto di segreto di Stato), del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 marzo 2011, n. 1 (Obblighi di comunicazione in caso di esame o interrogatorio) e della circolare CESIS n. 325/26/3136 del 23 gennaio 1998, relativi al trattamento economico del personale OO.I.S.; ordinava, inoltre, di «consentire ai medesimi difensori, nei luoghi indicati dall’Amministrazione, l’accesso alla documentazione concernente la corresponsione ai ricorrenti, durante il periodo di servizio, dell’indennità di funzione od operativa, ivi compresa quella inerente le trattenute fiscali operate sulle indennità medesime, nel rispetto delle misure di cautela e di riservatezza che la stessa Amministrazione riterrà più idonee».

In esecuzione di tali ordinanze istruttorie, la Presidenza del Consiglio dei ministri depositava, presso la Segreteria principale di sicurezza della Corte dei conti, uno stralcio dei decreti e copia della circolare, nonché un documento denominato “relazione illustrativa” nel quale giustificava la mancata produzione di quanto ulteriormente disposto con «la peculiarità del regime di gestione e documentazione cui è assoggettata l’indennità in parola, sin dalla sua istituzione, in ragione dell’assoluta specialità dell’indennità medesima».

I documenti prodotti venivano classificati come «riservati» dall’amministrazione resistente.

2.2.– Il rimettente riferisce poi che, all’udienza successiva a tale deposito, i difensori dei ricorrenti rappresentavano «l’impossibilità per la difesa di adempiere il mandato ricevuto a causa della mancata acquisizione al fascicolo di causa […] della documentazione contabile concernente la corresponsione delle indennità di cui si chiede la valutazione ai fini pensionistici» e, insistendo per l’accoglimento del ricorso, formulavano istanza subordinata perché fosse «promossa la questione di legittimità costituzionale della legge n. 124 del 2007».

Di qui la decisione del giudice a quo di promuovere, con distinte ordinanze, i presenti giudizi.

3.– Le ordinanze affrontano prioritariamente i profili di non manifesta infondatezza delle questioni, che vengono illustrati con riferimento «alla portata letterale della norma e alla sua concreta attuazione operata dall’Amministrazione».

3.1.– La norma censurata si porrebbe, anzitutto, in contrasto con l’art. 103, secondo comma, Cost., perché, non consentendo l’acquisizione al fascicolo d’ufficio dei documenti richiesti dal giudice, violerebbe «il principio di effettività della funzione giurisdizionale», che nel caso di specie «si estrinseca […] nel potere-dovere […] del giudice contabile, quale giudice naturale delle pensioni pubbliche ai sensi dell’art. 103, comma 2, Cost., di formare il proprio convincimento sulla base degli elementi di prova che ritiene rilevanti ai fini della decisione della causa e di cui ha disposto l’acquisizione».

3.2.– In secondo luogo, sussisterebbe violazione «dei principii del giusto processo sanciti dall’art. 111 Cost.».

In tal senso, il rimettente assume che la norma censurata attribuirebbe all’amministrazione un potere di supremazia, consistente nella facoltà di attribuire la clausola di «riservatezza» a documentazione diversa da quella sulla quale viene apposto il segreto di Stato, senza neppure consentire al giudice del rapporto controverso di valutare l’adeguatezza di tale decisione; di qui la violazione della regola della “parità delle armi”, che costituisce emanazione del principio del contraddittorio.

3.3.– Ancora, la norma censurata violerebbe l’art. 24, secondo comma, Cost., determinando la «compressione del diritto di difesa dei ricorrenti […] sia nella fase di impostazione della causa, non conoscendo [essi] in dettaglio se il quantum erogato dall’amministrazione sia, ed in quale misura, rispondente all’effettivo servizio prestato, sia nel corso del giudizio, atteso che della documentazione comprovante la fondatezza della domanda detti ricorrenti (o i loro difensori) possono solo prendere visione senza estrarre copia».

3.4.– Infine, ed in via consequenziale, sarebbe violato anche il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., atteso che «al pensionato che ha prestato la propria attività lavorativa negli [OO.I.S.] non è consentita […] la piena esplicazione del diritto costituzionale di difendere in giudizio i propri legittimi interessi, subendo con ciò una ingiustificata discriminazione rispetto a tutti gli altri pensionati pubblici».

4.– Quanto, poi, alla rilevanza delle questioni, il rimettente afferma che i giudizi promossi dai ricorrenti non possono essere definiti nel merito «se non previa risoluzione della prospettata questione di legittimità costituzionale».

5.– Alcuni dei ricorrenti nei giudizi principali sono intervenuti nei giudizi presso questa Corte con atto depositato in data 8 ottobre 2021, concludendo per l’accoglimento delle questioni sulla base degli stessi argomenti esposti nelle ordinanze di rimessione.

Un secondo gruppo di ricorrenti, intervenuto nei giudizi con atto depositato il 12 ottobre 2021, ha invece svolto considerazioni più articolate.

Detti ultimi intervenienti, in particolare, hanno sostenuto che la norma censurata sarebbe costituzionalmente illegittima nella parte in cui non consente ai difensori di estrarre copia della documentazione classificata che sia stata consegnata all’autorità giudiziaria; tale divieto, infatti, impedirebbe alle parti di conservare gli atti per le loro esigenze difensive – ad esempio in funzione dell’eventuale rilascio di un nuovo mandato, o dell’avvio di una diversa iniziativa in giudizio – e renderebbe impossibile un esame approfondito dei documenti nel corso dell’istruttoria.

La norma, pertanto, sarebbe frutto di un inadeguato bilanciamento fra le esigenze difensive delle parti e la tutela della sicurezza dello Stato; essa andrebbe pertanto dichiarata costituzionalmente illegittima, se del caso con pronunzia additiva che consenta ai difensori delle parti private di estrarre copia del documento classificato adottando le opportune cautele.

Tutti i ricorrenti intervenuti hanno ribadito le rispettive posizioni con il deposito di una memoria integrativa in prossimità dell’udienza.

6.– Con memorie depositate in data 12 ottobre 2021 è intervenuto nei giudizi, con atti di contenuto sostanzialmente identico, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

6.1.– In via preliminare, l’interveniente ha eccepito l’inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza.

Al riguardo, ha osservato anzitutto che la norma censurata consente al giudice di ordinare l’esibizione in giudizio dei documenti classificati e di acquisirli a fini probatori; le questioni di legittimità costituzionale, pertanto, sarebbero ininfluenti per la definizione del giudizio. In ogni caso, ha rilevato che la domanda formulata dai ricorrenti nei giudizi principali, volta al computo pensionistico dell’indennità «di funzione» e «operativa», poteva essere definita dal giudice a quo sulla base del quadro normativo di riferimento, con il quale il rimettente non si era confrontato, nonché delle rispettive allegazioni e dei documenti già prodotti.

Secondo l’Avvocatura, inoltre, la Corte dei conti non aveva indicato le ragioni per le quali la norma censurata inciderebbe sulla conoscibilità dei documenti da parte del giudice, che resta pienamente abilitato ad acquisirli, nonché sul concreto esercizio del diritto di difesa, ben potendosi surrogare la facoltà di estrarre copia dell’atto con la possibilità, per la parte, di trascriverne il contenuto di suo interesse.

6.2.– Quanto al merito delle questioni, il Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto che le stesse siano dichiarate non fondate, evidenziando che, rispetto alla disciplina generale delle prove documentali nel giudizio contabile, la norma censurata differisce soltanto nella parte in cui non consente all’interessato di estrarre copia dell’atto acquisito al fascicolo d’ufficio; e, richiamata la giurisprudenza di questa Corte, ha evidenziato che tale scelta consente un equo contemperamento fra le contrapposte esigenze, entrambe costituzionalmente rilevanti, di tutela della sicurezza della Repubblica e di assicurazione della difesa della parte privata nel giudizio.

Considerato in diritto

1.– Con quattro ordinanze di identico contenuto del 3 febbraio 2021, emesse in altrettanti giudizi, rispettivamente iscritte ai numeri 133, 134, 135 e 136 del registro ordinanze 2021, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 8, della legge 3 agosto 2007, n. 124 (Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto), in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, 103, secondo comma, e 111 della Costituzione.

2.– La disposizione censurata stabilisce che «[q]ualora l’autorità giudiziaria ordini l’esibizione di documenti classificati per i quali non sia opposto il segreto di Stato, gli atti sono consegnati all’autorità giudiziaria richiedente, che ne cura la conservazione con modalità che ne tutelino la riservatezza, garantendo il diritto delle parti nel procedimento a prenderne visione senza estrarne copia».

Di tale disposizione, nei giudizi principali, ha fatto applicazione la Presidenza del Consiglio dei ministri, resistendo al ricorso promosso da alcuni ex dipendenti del comparto degli Organismi di informazioni per la sicurezza (OO.I.S.) per l’accertamento del loro diritto al computo, nel rispettivo trattamento di quiescenza, delle indennità «di funzione» o «operativa» di cui all’art. 18 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 novembre 1980, n. 8, loro corrisposta nel corso del rapporto di impiego.

Il giudice a quo, infatti, aveva ordinato all’amministrazione convenuta di produrre in giudizio tutta la documentazione contabile donde risultassero l’effettiva corresponsione di tali indennità e le relative trattenute a fini previdenziali, onde accertarne il complessivo ammontare.

3.– Secondo il rimettente, la previsione censurata si porrebbe anzitutto in contrasto con l’art. 103, secondo comma, Cost., poiché non consentirebbe al giudice contabile di formare il proprio convincimento sulla base degli elementi di prova rilevanti ai fini della decisione, dei quali ha disposto l’acquisizione al giudizio.

Essa, inoltre, violerebbe il disposto di cui all’art. 111 Cost., alterando, in favore dell’amministrazione legittimata ad apporre la classificazione di segretezza, la regola della cosiddetta “parità delle armi”, che costituisce estrinsecazione del principio del contraddittorio.

Ancora, sarebbe violato l’art. 24, secondo comma, Cost., poiché la limitazione che la norma arreca all’accesso delle parti alla documentazione classificata e alla possibilità di estrarne copia ne comprimerebbe il diritto alla difesa.

Infine, sussisterebbe anche una violazione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., avuto riguardo al diverso regime probatorio che si configura a carico del pubblico impiegato facente parte del personale degli OO.I.S., rispetto alle pretese inerenti all’accertamento del trattamento di quiescenza avanzate da tutti gli altri pubblici impiegati.

4.– Poiché i quattro giudizi incidentali concernono identiche questioni, sollevate in riferimento ai medesimi parametri e sulla base delle stesse argomentazioni, se ne rende opportuna la trattazione unitaria.

Ciò posto, va preliminarmente osservato che, nei suoi atti di intervento in giudizio, dal contenuto sostanzialmente identico, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato eccezione d’inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza.

Secondo la difesa statale, in particolare, le domande formulate dai ricorrenti potevano essere decise sulla base delle rispettive allegazioni e senza dar corso all’attività istruttoria, che ha invece reso necessario il ricorso alle cautele previste dalla disposizione oggetto di censura.

5.– L’eccezione è fondata per le ragioni che seguono.

5.1.– Ai fini dell’apprezzamento del requisito della rilevanza nei giudizi incidentali, questa Corte ha ripetutamente affermato che «ciò che conta è la valutazione che il giudice a quo deve effettuare in ordine alla possibilità che il procedimento pendente possa o meno essere definito indipendentemente dalla soluzione della questione sollevata, potendo la Corte interferire su tale valutazione solo se essa, a prima vista, appaia assolutamente priva di fondamento (sentenza n. 71 del 2015)» (sentenze n. 208 e n. 122 del 2019).

In tal senso, il giudice a quo, dopo aver sinteticamente descritto il contenuto della pretesa dei ricorrenti nei giudizi principali e l’oggetto della propria ordinanza istruttoria, si limita ad affermare in modo tautologico, nella parte conclusiva delle ordinanze di rimessione, che i giudizi principali non possono essere definiti nel merito «se non previa risoluzione della prospettata questione di legittimità costituzionale».

Nessuna spiegazione, pertanto, viene fornita in ordine alla necessità di fare applicazione di una norma destinata a spiegare i suoi effetti in ambito istruttorio, e ciò quantunque l’amministrazione avesse espressamente dedotto che la pretesa dei ricorrenti era infondata quanto all’an debeatur e, conseguentemente, che l’istruttoria disposta sul quantum era, in realtà, da ritenersi del tutto superflua.

Di conseguenza, non viene nemmeno illustrata la ragione per la quale la decisione sulle questioni di legittimità costituzionale risulterebbe pregiudiziale per la definizione del processo principale; e la mancata indicazione di plausibili ragioni che depongano per tale rilievo di pregiudizialità si risolve in un difetto di motivazione sulla rilevanza, dal quale consegue l’inammissibilità della questione stessa (ex multis, sentenze n. 23 del 2019, n. 209 e n. 119 del 2017; ordinanza n. 202 del 2018).

A ciò si aggiunga che il rimettente svolge le proprie considerazioni con riguardo alle modalità con le quali l’amministrazione convenuta nei giudizi principali ha dato esecuzione alla norma censurata; non a caso, e come si è accennato, le denunziate criticità vengono ricostruite con riferimento «alla portata letterale della norma e alla sua concreta attuazione operata dall’Amministrazione».

Pertanto, il denunciato pregiudizio alla funzione giurisdizionale e al diritto di difesa delle parti private non è dipeso dalla previsione impugnata, in sé considerata, ma dall’applicazione che ne avrebbe fatto l’amministrazione nel caso concreto; e questo rende irrilevante il sindacato di legittimità costituzionale richiesto ai medesimi fini.

5.2.– L’inadeguatezza della motivazione sulla rilevanza delle questioni emerge poi con riguardo ad un ulteriore, specifico profilo.

In proposito, giova procedere ad una breve ricostruzione del quadro normativo sotteso al tema dei giudizi principali.

5.2.1.– La disciplina del rapporto d’impiego del personale degli OO.I.S. non si sottrae ai principi generali e alle norme comuni del pubblico impiego.

Già la legge 24 ottobre 1977, n. 801 (Istituzione e ordinamento dei servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina del segreto di Stato), nel disporre che il personale di tali organismi fosse «costituito da dipendenti civili e militari dello Stato che vengono trasferiti, con il loro consenso […] nonché da personale assunto direttamente» (art. 7, comma 1), avuto riguardo alla peculiarità delle relative attribuzioni aveva operato una delegificazione della disciplina del relativo rapporto di impiego, devolvendo in modo permanente al Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero al Ministro della difesa od al Ministro dell’interno (su parere del Comitato interministeriale per le informazioni e la sicurezza, di concerto con il Ministro del tesoro), la relativa potestà normativa, esercitabile anche in deroga alle disposizioni legislative vigenti.

Pertanto, lo status giuridico e il trattamento economico del personale di tali organismi erano stati regolati dai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri n. 7 e n. 8 del 21 novembre 1980 (non pubblicati nella Gazzetta Ufficiale), che hanno delineato un regime atipico, soggetto all’applicazione esclusiva delle disposizioni speciali.

In particolare, ai fini che rilevano in questa sede, l’art. 18 del d.P.C.m. n. 8 del 1980 ha previsto la corresponsione sia della indennità «di funzione», per il personale provvisto di qualifica dirigenziale, sia della indennità «operativa», per il personale sprovvisto di tale qualifica, delle quali, però, ha espressamente escluso il computo nella base pensionabile.

5.2.2.– In epoca successiva, tuttavia, il trattamento di quiescenza dei pubblici impiegati è stato interessato da alcuni interventi di riforma, fra i quali, in particolare, la legge 8 agosto 1995, n. 335, recante «Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare» (cosiddetta “riforma Dini”).

Quest’ultima, in un’ottica di armonizzazione del sistema pensionistico obbligatorio e complementare, all’art. 2, comma 9, ha disposto che, a far data dal 1° gennaio 1996, per tutti i dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), la base imponibile pensionistica va calcolata secondo i criteri indicati dall’art. 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), vale a dire includendovi non solo la retribuzione dell’impiegato, ma anche tutti gli elementi accessori del relativo trattamento economico, eccettuate alcune indennità.

5.2.3.– Fra tali ultime non risultavano comprese le indennità «di funzione» e «operativa» previste nell’ambito del trattamento economico del personale OO.I.S.

Da tanto era quindi derivato un nutrito contenzioso su iniziativa di numerosi dipendenti di tali organismi, collocati a riposo dopo il 1° gennaio 1996; costoro, come i ricorrenti nei giudizi principali, hanno infatti chiesto alla Corte dei conti, in veste di giudice delle pensioni pubbliche, una rideterminazione del loro trattamento di quiescenza, previa inclusione nella base pensionistica delle indennità di cui all’art. 18 del d.P.C.m. n. 8 del 1980, sul presupposto dell’intervenuta abrogazione di quest’ultimo da parte dell’art. 2, comma 9, della legge n. 335 del 1995.

Tale contenzioso è stato, per la maggior parte dei casi, definito in senso contrario alle pretese dei dipendenti OO.I.S., con qualche limitata eccezione; a comporre definitivamente ogni contrasto sono quindi intervenute le sezioni riunite in sede giurisdizionale della Corte dei conti, che, investite della decisione su questione di massima, hanno escluso la dedotta abrogazione con la sentenza n. 2/2018/QM del 29 gennaio 2018.

5.2.4.– Con quest’ultima decisione, in particolare, le Sezioni riunite hanno anzitutto sottolineato che le disposizioni del d.P.C.m. n. 8 del 1980, in quanto connotate da specialità, non possono essere derogate da una legge generale successiva, quale quella di riforma del sistema pensionistico, né ritenersi dalla stessa tacitamente abrogate per incompatibilità.

Hanno quindi ritenuto che la natura eccezionale delle funzioni svolte dagli appartenenti agli OO.I.S. giustifichi una certa discrezionalità nelle previsioni di organizzazione dei relativi servizi, anche per i profili del trattamento giuridico ed economico, e funga altresì da parametro interpretativo delle disposizioni adottate al riguardo, così da giustificare la previsione delle indennità in questione, volte a coprire, anche con riferimento alla varietà degli apporti personali nelle missioni compiute, i disagi e i pericoli connessi all’attività svolta, e aventi una funzione di rimborso forfetario ed omnicomprensivo di qualsivoglia altro onere sostenuto.

Infine, le Sezioni riunite hanno osservato che la riforma dei servizi di informazione e sicurezza dello Stato, intervenuta con la legge n. 124 del 2007, nel disporre l’abrogazione della previgente legge n. 801 del 1977 e di «tutte le disposizioni interne e regolamentari in contrasto o, comunque, non compatibili», ha espressamente fatte salve «le norme dei decreti attuativi che interessano il contenzioso del personale in quiescenza dei servizi di informazione per la sicurezza ai fini della tutela giurisdizionale di diritti e interessi» (art. 44, comma 1), così consentendo l’ultrattività della previsione di cui all’art. 18 del d.P.C.m. n. 8 del 1980, il cui contenuto è stato poi trasfuso nell’art. 103 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 aprile 2008, n. 1 (Criteri per l’individuazione delle notizie, delle informazioni, dei documenti, degli atti, delle attività, delle cose e dei luoghi suscettibili di essere oggetto di segreto di Stato), e nell’art. 105 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 marzo 2011, n. 1 (Obblighi di comunicazione in caso di esame o interrogatorio).

5.3.– Nelle ordinanze di rimessione, che si limitano a tratteggiare in fatto il contenuto della pretesa dei ricorrenti nei giudizi principali, è omesso ogni riferimento a tale articolato quadro normativo e giurisprudenziale.

La Corte dei conti, infatti, si duole di una carenza informativa, da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri, in relazione all’accertamento dell’importo esatto delle indennità percepite dai ricorrenti, ma non svolge alcuna considerazione sul tema, a ciò pregiudiziale, del possibile computo di tali indennità nella base pensionabile.

In altri termini, è evidente che, nel procedere all’istruttoria sull’entità delle indennità versate ai ricorrenti, il giudice a quo ne ha ritenuto ammissibile il computo nella base pensionistica; di una tale possibilità, tuttavia, le ordinanze di rimessione non adducono neppure le ragioni, e ciò sebbene in presenza di un assetto interpretativo chiaramente consolidatosi in senso opposto, peraltro in forza di una decisione resa dall’autorità cui è attribuita la funzione nomofilattica nel settore pensionistico.

Una tale lacuna ricostruttiva si traduce dunque in un difetto di motivazione in punto di rilevanza, poiché il rimettente, seguendo il percorso interpretativo più sopra descritto, avrebbe dovuto indicare le ragioni per le quali ha ritenuto di superarlo.

6.– In definitiva, l’omessa ricostruzione della cornice normativa e giurisprudenziale di riferimento compromette irrimediabilmente l’iter logico argomentativo posto a fondamento delle valutazioni del rimettente sulla rilevanza; ciò che, secondo il costante orientamento di questa Corte, rende inammissibili le questioni sollevate (ex plurimis, sentenze n. 61 e n. 15 del 2021, n. 264 e n. 228 del 2020, e n. 150 del 2019).

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 8, della legge 3 agosto 2007, n. 124 (Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto) sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, 103, secondo comma, e 111 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1° dicembre 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Augusto Antonio BARBERA, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 24 dicembre 2021.